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Per campo di concentramento o di internamento, si intende una struttura carceraria all’aperto, per la detenzione di civili e/o militari.
E’ una struttura solitamente provvisoria, adatta a contenere un elevato numero di persone, solitamente prigionieri di guerra, destinati ad essere scambiati o
rilasciati alla fine del conflitto bellico.
Fig.1 – Il plastico dello
Stalag X B di Sandbostel riservato agli internati militari italiani
Generalmente è formato da file di baracche o container
disposti ordinatamente, contenenti i dormitori, i refettori, gli uffici e tutte
le altre strutture necessarie; è circondato da reticolati di filo spinato o
altri tipi di barriere.
Il perimetro del campo è sorvegliato da ronde di guardie armate.
Questi campi, grazie soprattutto alla Germania nazista e
all’Unione Sovietica, negli anni intorno alla seconda guerra mondiale, hanno
fatto si che nel linguaggio comune, campo di concentramento sia spesso confuso
con campo di sterminio, che è un campo il cui unico e principale scopo è quello
di uccidere i prigionieri che vi entrano.
Cercherò in queste poche righe, di immedesimarmi nei
prigionieri italiani del campo di internamento di Sandbostel (vicino Brema nel
nord della Germania), soldati che avevano scelto la prigionia piuttosto che
tornare in patria a combattere i propri fratelli e vi presenterò Caterina, la
radio costruita con mezzi di fortuna che ha permesso a migliaia di prigionieri
di resistere al freddo, alla fame, alle malattie e alla cattiveria dei
carcerieri.
Come diceva lo scrittore Giovannino Guareschi, uno dei
protagonisti della nostra storia, riuscirono a costruire questa radio con i
pezzi che un uomo nudo riusciva a trovare in un campo di trifogli.
Alla fine della guerra, inglesi, francesi ed americani,
studiarono radio Caterina e giunsero alla conclusione che solo l’ingegno e la
capacità di arrangiarsi degli italiani poteva arrivare a tanto.
Non risulta che
prigionieri nei lager di altre nazionalità siano arrivati a tanto.
Le radio clandestine non erano soltanto un miracolo della creatività e delle conoscenze tecniche di alcuni prigionieri, ma erano anche
parte integrante di una resistenza senza armi combattuta contro il regime nazista, che chiedeva ai nostri militari internati di riprendere le armi per
continuare la guerra nazifascista o di lavorare per sostenere l’economia germanica.
Il bisogno di conoscere cosa accadeva nel mondo, nonostante il pericolo di essere scoperti, era anche un tentativo di trovare sempre nuovi
stimoli per resistere alla propaganda nazista e alla via d’uscita rappresentata dalla collaborazione, a fronte di un trattamento disumano, alla fame e al
freddo, alle malattie non curate, alla morte sempre compagnia di viaggio.
Se le radio venivano scoperte, venivano sequestrate ed il possessore rischiava il trasferimento in un lager di punizione.
Gli internati italiani, o meglio il ristretto gruppo che aveva teorizzato e messo in pratica Caterina, avevano creato un’organizzazione
ferrea, dove i realizzatori dei singoli componenti non conoscevano l’uno dell’altro, con una vera e propria selezione del personale eseguita nel massimo
segreto, ognuno con le proprie specializzazioni negli studi e nel campo lavorativo avute prima di diventare soldati, sempre nel massimo segreto, sempre
con una fitta rete di pali ed aiutanti, sempre con l’incubo di essere scoperti dai tedeschi o dalle spie da loro introdotte di nascosto nelle file degli
internati italiani.
Fig.3 – Foto di radio
Caterina inviata da Martignago a Guereschi, dopo essere tornati in Italia, 1946
Prima di descrivere in quale maniera fu costruita Caterina,
è doveroso presentare i principali protagonisti della sua ideazione e
costruzione: il sottotenente Olivero, il mago della radio, il capitano
Angiolillo infaticabile realizzatore di componenti e il tenente Martignago, il
più arrabbiato di tutti con i tedeschi, era la mente dell’organizzazione, il più
furbo ed il più audace, quello che comandava tutti coloro i quali fecero poi
parte dell’organizzazione.
Il materiale veniva prelevato da tutto quello che c’era nel
campo, poi racconteremo dove e come, dai pochi pacchi che arrivavano dall’Italia
da parte dei familiari, veniva comprato e barattato tra i soldati e dai tedeschi
con sigarette, cibo e orologi, questi ultimi permettevano di cucire la bocca dei
soldati tedeschi come nessun’altra moneta.
Tutto veniva utilizzato e tutto
veniva provato e, quando alla fine anche i francesi si resero conto del lavoro
sociale svolto dagli italiani, iniziarono a fornire loro il materiale che gli
veniva portato dalla Croce Rossa.
Ecco a voi la lista:
1.
Valvola
1Q5, adatta a lavorare con basse tensioni di alimentazione, opportunamente
rappezzata col catrame della copertura delle baracche perché, a furia di
toglierla e rimetterla, si era quasi staccata la base dal bulbo. La valvola
rappresenta l’unico pezzo non auto costruito della radio, la valvola fu fatta
entrare nel campo dentro una borraccia con il fondo truccato e dentro la
borraccia nascosta ogni volta che la radio veniva smontata;
2.
Condensatore variabile di sintonia. Ottenuto con il lamierino di una ex
scatoletta di carne e con pezzi di celluloide tagliati da buste di portatessere.
Le lamine del condensatore variabile venivano comandate da una leva che era un
ritaglio di latta verniciato con del catrame che isolava le parti metalliche e
faceva le funzioni di una manopola;
3.
Chiodi.
Venivano utilizzati per i collegamenti, in genere l’antenna, la terra e le pile.
L’antenna era una cosa divertentissima in quanto consisteva in un pezzo di filo
che partiva dal suo chiodo ed aveva il terminale libero saldato ad un pezzo di
stagnola. Durante la ricezione il pezzo di stagnola veniva stretto fra i denti
da Olivero il quale, da ufficiale prigioniero, si trasformava così in antenna di
capacità variabile;
4.
Condensatori fissi. Venivano ottenuti con la stagnola dei pacchetti di
sigarette, cartine di sigarette ed un numero imprecisato di
espressioni poco educate nei riguardi del destino, data la difficoltà di
trovare il condensatore di capacità adatta. Il condensatore veniva poi coperto
dalla cera delle candele fornite dal cappellano italiano del campo;
5.
Resistenza fissa. Costruita trattando la carta nella quale erano avvolti i
cubetti di margarina della razione di cibo, con grafite di matita e le solite
espressioni poco educate di cui sopra;
6.
Le
bobine. Se vedete le foto, è quella specie di bicchiere a sinistra, consistente
in un portasapone da barba, filo isolato del crucco (poi racconteremo cosa
vuol dire) cartone avvolto a cilindro e cera di candela per bloccare ed isolare il
filo;
7.
Batteria anodica e filamento. Quel tubo a destra, sempre vedendo la fotografia,
è la batteria ed è così costruita: un astuccio rotto di un vecchio porta pila,
venti monete da due soldi racimolate in giro fra i settemila ufficiali, venti
dischi di zinco, tagliate dalla rivestitura delle vasche di legno dei lavatoi,
venti dischi di panno ritagliati dalla coperta del Talotti, altro componente del
gruppo ristretto, che non fu molto contento dell’operazione, acido acetico
ottenuto facendo la posta ai fortunati che ricevevano i pacchi da casa, in
genere si prendeva dai barattoli dei sottaceti. Questo residuato della pila di
Volta, forniva 20V teorici ed era sufficiente per tre quarti d’ora di ricezione.
Scaricata la pila, bisognava smontare il tutto, lavare bene e poi ricostruire.
Se non c’era aceto, bisognava creare la soluzione con ammoniaca
e sale e, la prima, la si creava facendo macerare i capelli nell’urina.
Erano tre quarti d’ora di ricezione molto puzzolente;
8.
Cuffia.
Un barattolino qualsiasi, un disco di cartone, magnetini e filo del crucco
(poi vi spiegherò);
9.
Filo
elettrico. Frutto di continui sabotaggi agli impianti elettrici delle baracche;
10.
Comando
della reazione. La reazione è il principio per cui si prende una parte del
segnale in uscita alla cuffia e la si reinvia verso l’antenna, in questo modo lo
stesso segnale aumenta fino a renderlo ascoltabile e fino a non esagerare e
sentire solo un fischio in cuffia. Detto questo, ora vi illustrerò perché con
radio Caterina, questo controllo diventava divertente e pittoresco. Il centro
radio aveva la sua sede in quello che i tedeschi chiamavano magazzino e che, in
definitiva, risultava una stanzaccia di baracca piena di stracci pidocchiosi e
zoccoli spaiati e fangosi. Amministratore del fango e dei pidocchi era il
sottotenente Talotti che godeva della fiducia del comando tedesco in quanto, non
comprendendo una parola di tedesco, rispondeva invariabilmente gut(buono), ja(si)
o javol (sissignore) a tutto quello che gli dicevano i crucchi, cosa questa che
essi gradivano moltissimo. Nella stanzaccia esisteva il castello mezzo sfasciato
di una lettiera a castello a sei posti: il tenente Olivero si appollaiava su una
traversa orizzontale del secondo piano, con una gamba penzolante nel vuoto.
Cuffia all’orecchio, con la mano sinistra sorvegliava i comandi di Caterina, con
la destra scriveva (riceveva in italiano, in tedesco ed in inglese). La gamba
penzolante nel vuoto si alzava o abbassava in continuazione e questa era la
regolazione micrometrica del comando della reazione in quanto, avvicinando o
allontanando il piede dal pavimento inumidito, variava la capacità d’antenna.
Antenna che era rappresentata a sua volta dal corpo dell’operatore, perché il
tenente stringeva tra i denti il filo che partiva dal chiodo d’antenna. Il
pavimento era continuamente bagnato per favorire la conduzione verso terra del
legno secco.
(tratto dall’articolo apparso sulla rivista Oggi n.11-1949
di Giovannino Guareschi).
Abbiamo parlato del filo e dei magnetini del crucco.
Questa
forse è l’avventura più pericolosa avuta da uno dei componenti del gruppo per
racimolare del materiale. Come avrete capito servivano magnetini e filo di rame
molto fino ed entrambi non si sapeva come trovarli.
Qui entra in scena Martignago: egli aveva notato che il sergente tedesco addetto alla misera
baracca chiamata infermeria, giungeva al campo con una vistosa bicicletta munita
di una bella dinamo.
La bicicletta in genere seguiva il proprietario nella
baracca ma a volte rimaneva fuori in attesa.
Dopo molti giorni di appostamenti,
mentre un commilitone faceva da palo e il cielo mandava giù tanta acqua,
Martignago si tuffò sulla bicicletta con una specie di pinza ed un coltello
tentando di svuotare la dinamo, ma senza successo.
Allora tolse la dinamo dalla
bicicletta, la portò nella baracca, recuperò quello di cui aveva bisogno, la riassemblò e poi corse di nuovo a rimontarla sulla bicicletta.
Il rischio che
corse Martignago fu enorme e rischiò la deportazione in un lager punitivo.
Raccontiamo un altro aneddoto sul furto dei cavi elettrici.
I tedeschi, per controllare meglio i prigionieri e scongiurare eventuali fughe,
facevano due conte al giorno (due appelli), facendo uscire tutti i prigionieri
dalle baracche e tenendoli in piedi anche per ore, con qualsiasi condizione
meteorologica.
Immaginatevi due appelli al giorno per 7000 mila persone e una
volontaria indisciplina dei prigionieri italiani, che ne inventavano di tutte
per boicottare le operazioni.
Durante una di queste volte, verificando prima che nella baracca non rimanesse
nessuno, un soldato italiano si passò come malato e rimase nel suo letto.
Si
arrampicò così sui letti a castello ed iniziò a sfilare uno dei due fili
conduttori che dall’interruttore portavano alimentazione alle lampade e si
stendevano per tutto il soffitto della baracca, per una lunghezza totale di
venti o trenta metri.
Bisognava però non farsi scoprire dai tedeschi del furto e
non incorrere in punizioni più o meno pesanti.
A quei tempi, al posto del
corrugato in plastica in cui far passare i fili, si usava un tubo metallico.
Il
soldato pensò quindi di utilizzare la copertura esterna in metallo in
sostituzione del cavo appena sottratto, in modo da far accendere ugualmente le
luci.
Ci furono due effetti collaterali però: l’impossibilità di toccare i tubi
metallici pena una mortale scossa e la rottura della brandina in legno di uno
dei lettini per cui, il malcapitato, non avrebbe più potuto dormire nel letto e,
per persone che non avevano nulla, quella era una vera disgrazia.
Tutto il gruppo fu costantemente assediato dai controlli e
le perquisizioni dei tedeschi.
La radio era smontata ed ogni sera cambiavano l’ubicazione
delle varie parti e nessuno sapeva dove sarebbero andate a finire.
L’unica
certezza era il luogo di ascolto che venne solo una volta ispezionato nel mentre
era in corso l’ascolto delle lontane stazioni radio ma, la faccia tosta dei
presenti e la loro praticità scongiurò il peggio, senza che essi si accorgessero
di nulla.
Il gruppo di controllo era riuscito ad inserire un soldato italiano
nella baracca del comando tedesco e fungeva da controspionaggio, cioè passava ai
tedeschi le notizie che gli italiani volevano che sapessero, in modo da sviare
di volta in volta le attenzioni su di loro.
Prima fu fatto loro sapere che le
notizie arrivavano direttamente dagli stessi soldati che entravano la mattina
per l’appello: da quel giorno la pattuglia che faceva l’appello non si avvicinò
più ai prigionieri e fece la conta dietro una rete metallica in modo da non
entrare in contatto con loro.
Ma le voci continuavano a girare.
Allora fu fatta
circolare la notizia che le informazioni venivano portate dai tedeschi che
portavano mercanzie da vendere ai prigionieri e, il risultato fu che questi
soldati furono mandati al fronte e sostituiti da persone più crudeli e fedeli.
La volta successiva fu data la colpa ai russi, prigionieri anche loro, che
avevano il compito di svuotare le latrine del campo italiano.
Da quel giorno i
russi non vennero più e gli stessi italiani furono costretti a trainare il carro
M, come lo chiamavano.
Nonostante le continue perquisizioni, che una volta
arrivarono a smantellare le baracche pezzo per pezzo, non riuscirono mai a
trovare Caterina.
C’è anche da dire che a protezione degli operatori radio e
del relativo gruppo di controllo, era stata creata una struttura di sentinelle e
pali con tutto un codice di segnali sonori e visivi che riusciva quasi sempre a
tenere alla larga i tedeschi e le loro ispezioni a sorpresa.
La trasmissione delle notizie era semplice. Venivano
scritte tre copie su quanto ricevuto e poi, da lì, imparate a memoria e
divulgate per tutto il campo. I foglietti venivano bruciati subito dopo averli
letti.
Foto 4-8 – l’originale
radio Caterina, custodita presso il Museo dell’Internato Ignoto di Padova
In questo campo ed in altri, furono presenti altri
ricevitori radio, che riportiamo solo per conoscenza.
In sequenza: Mimma, la
galena di Zeithain e la radio nella gavetta di Versen.
Le foto qui sopra mostrano un altro tipo di ricevitore
utilizzato in tempo di guerra e non, dagli internati, dai singoli cittadini e da
tutti i ragazzi che nei decenni si sono cimentati nella costruzione i semplici
ricevitori: la radio a lametta (foxhole radio in inglese). Realizzabile con
poco, utilizzava come elemento rilevatore, una lametta da barba, non di quelle
moderne che sono trattate (anodizzate) per non far uscir fuori la ruggine.
Da notare che gli altri ricevitori descritti, compresi
questi ultimi, avevano sempre delle cuffie commerciali per poter funzionare
mentre, per radio Caterina, tutto era stato costruito ex novo, dal nulla e
questa la rende eccezionale dal punto di vista tecnico ed umano.
NOTA BENE. Tutte le
immagini sono proprietà dei rispettivi proprietari. Lo scopo di questo
articolo è puramente educativo, essendo questo parte della tesina di terza
media di un ragazzo e, in tale ambito, può essere liberamente distribuito.
Nel caso in cui si dovesse utilizzare il materiale a scopo di lucro, si
dovranno contattare i relativi proprietari per le autorizzazioni di rito.
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