Questa è la prima parte del workshop di costruzione del
ricevitore al germanio.
Una breve e discorsiva carrellata sulla storia delle
telecomunicazioni, dal mondo primitivo fino alla scoperta di Guglielmo
Marconi.
Se volete uno spassionato consiglio per un workshop del
genere, controllate prima l'età dei partecipanti:
i più attenti ed
interessati saranno i genitori, a seguire i figli, dai più grandi ai
frequentatori delle scuole medie, quelli al di sotto dei 12 anni circa, non
hanno interesse ma soprattutto concentrazione, per rimanere attenti per
circa un'ora.....più piccoli sono.....più azioni di distrazione collettiva
metteranno in campo.
Detto questo, buona lettura.
Il trillo della sveglia al mattino (o i tuoi genitori che ti svegliano
chiamandoti dolcemente), ci comunicano che è l’ora di alzarci. La radio,
la TV, il giornale, internet ci portano le ultime notizie della città in
cui viviamo e del mondo, dei nostri amici. La posta, la e-mail, il
telefono, il cellulare ci mettono al corrente di ciò che accade attorno
a noi. Scambiano le nostre impressioni con i colleghi di lavoro o con i
nostri compagni di scuola. Riceviamo consigli, suggerimenti, opinioni ed
altrettante ne trasmettiamo. La televisione, il cinema, il teatro ci
trasportano il altri mondi, veri o falsi che siano, insegnandoci
qualcosa, accendendo la nostra fantasia o semplicemente facendoci il
lavaggio del cervello. Un sorriso, un aggrottare
della fronte, un gesto, ci fanno capire se i nostri vicini sono lieti o
tristi, se si divertono o si annoiano, se qualcosa li preoccupa.
Tutto questo non è che “
comunicazione”:
in altre parole è la vita stessa.
Noi però non dobbiamo trattare la trasmissione delle
informazioni dal punto di vista sociologico, ma solo tracciare la storia
delle telecomunicazioni intesa come trasmissione a distanza delle
informazioni per accompagnarci, con diletto, alla costruzione del nostro
ricevitore radio.

La possibilità di comunicare a distanza con i propri simili è da sempre una delle attività più fortemente perseguite dall’uomo.
Al di là del puro desiderio di trasmettere i propri pensieri ad altre persone lontane, la molla principale è stata sempre costituita
dagli interessi economici, militari e pratici con queste due attività umane. La conoscenza di una notizia importante in un determinato
campo, poteva avere effetti enormi dal punto di vista pratico.
Gli uomini primitivi puntavano alla sopravvivenza della
specie e del proprio gruppo, utilizzavano la voce per trasmettere messaggi,
utilizzavano tronchi di albero cavi come tamburi oppure parti di animali per
emettere suoni continui, vedi le conchiglie o i corni d’osso.
Con l’aumentare della civiltà, cominciarono ad apparire
i messaggeri a piedi, a cavallo o con altri mezzi di trasporto, tutti lenti
e tutti dipendenti dagli incidenti lungo la strada, le intemperie, i
banditi, le guerre, situazioni che rendevano la trasmissione delle
informazioni estremamente aleatorie.
Lo scopo e l’ideale è sempre stato quello di risolvere
il problema eliminando il trasporto fisico dell’informazione, saltando tutti
i pericoli del percorso intermedio. I persiani avevano disposto una serie di
stazioni su montagne e torri, presidiati da uomini dotati di una voce
estremamente potente e con questo mezzo, trasmettevano brevi notizie con
discreta velocità. Lo stesso mezzo veniva usato dai Galli (quelli di
Asterix). Si racconta, negli scritti dell’epoca, che si riusciva a far
viaggiare il messaggio in ventiquattro ore invece del mese necessario con i
mezzi tradizionali. Con quello che si aveva a disposizione e migliorando
metodi precedentemente usati, si presero ad utilizzare anche il suono e la
luce. Nacquero così la telegrafica ottica e quella acustica (telegrafia è un
termine moderno che si associa a metodi di codifica più antichi): si
iniziarono a trasmettere le notizie attraverso l’uso dei segnali di fumo, delle bandiere e
dei tamburi; si utilizzarono gli specchi per riflettere la luce del sole
oppure i fuochi accesi all’uopo, cannoni ed altri mezzi più o meno
fantasiosi per codificare efficacemente l’informazione da trasmettere.
Proviamo a raccontare un po’ di storie da assaporare
attorno al fuoco una fredda sera di dicembre con la neve che cala dolcemente
e le castagne che scoppiettano allegre ed odorose nel fuoco.
Secondo le sacre scritture, la Torre di Babele sarebbe
stata costruita con il preciso scopo di lanciare segnali per mezzo di fuoco
dalla sommità, a tutti i popoli dell’Asia che dipendevano dal governo della
citta (Babilonia, Mesopotamia, vicino all’attuale Bagdad, Iraq).
Nell’antica Grecia, l’inventore Enea il Tattico (circa
350 anni a.c.) aveva inventato un sistema di vasi comunicanti tra di loro
riempiti di acqua, muniti di rubinetti uguali e provvisti, all’interno, di
una tavoletta sulla quale sono impressi simboli convenzionali. I rubinetti
dei due vasi, posti nelle due stazioni terminali, sono aperti e chiusi nello
stesso istante: tale sincronizzazione è ottenuta mediante l’invio di
opportuni segnali ottici. La notizia comunicata risulta quella
corrispondente al simbolo toccato dal pelo dell’acqua. I messaggi riportavano messaggi di pericolo,
pace, guerra, vittoria, sconfitta. La trasmissione iniziava quando il
“trasmittente” avvertiva il “ricevente” attraverso l’accensione di una
torcia; iI ricevente dava l’assenso all’inizio del messaggio accendendo a
sua volta una torcia come risposta. Se il simbolo non era decifrabile, tutta
la procedura iniziava da capo.


I Romani avvicendarono i metodi tradizionali con quelli più veloci. Su
tutte le strade consolari venivano erette torri di segnalazioni mediante
fuochi nonché stazioni di ristoro e di cambio cavalli per i messaggi via
terra. Durante le operazioni militari di Cesare in Gallia, il
condottiero era in grado di ricevere i messaggi da Roma in un solo
giorno.
L’italiano Giovanni Battista della Porta (vissuto
intorno al 1600), ideò un sistema ottico in grado di proiettare nelle nubi
le lettere dell’alfabeto. Con un sistema ottico di lenti convesse (lo stesso
utilizzato da Archimede per incendiare le navi nemiche), focalizzando
opportunamente il riflesso di un fuoco opportunamente alimentato, lanciava
attraverso lo spazio uno strale di luce. A parte l’utilità di inviare un
messaggio che tutti potevano intercettare, era poco praticabile per via
della modesta intensità luminosa dei fuochi.
Ora, comunque, sapete da chi ha ripreso l’idea Batman
quando lancia il suo segnale attraverso la gotica Gotham City.
In ogni caso furono sviluppati sistemi ottici, chiamati
semafori, basati sull’emissione di luce ad intervalli ritmici: la fonte
luminosa viene occultata o aperta da un sistema di tendine che si aprono e
si chiudono a diverse combinazioni, ciascuna abbinata a lettere
dell’alfabeto o numeri, corrispondenti a loro volta, a determinate
informazioni.
I più attenti avranno di certo fatto caso che si parla
sempre di messaggi trasmessi via terra: e se di mezzo c’era il mare, che si
faceva? Nulla, purtroppo: ci si affidava al solo mezzo che era in grado di
solcare le azzurre acque, la nave. Mezzo lentissimo, a quei tempi non
esistevano barche a motore e la navigazione era affidata alla nave,
all’esperienza dell’equipaggio ed alla provvidenza che non ti faceva
incontrare tempeste o bufere.
Ad esempio, raccontano i libri di scuola, che la
notizia dell’indipendenza delle colonie inglesi d’America, avvenuta nel
luglio del 1776, arrivò a Londra “solo” sette settimane dopo mezzo veliero.
La ventata di progresso scientifico, iniziata con la
rivoluzione francese, portò un ecclesiastico ed ingegnere francese Claude
Chappe ad ideare un telegrafo ottico a bracci mobili. Robespierre prima e
Napoleone dopo furono così entusiasti dell’invenzione (si era in guerra con
Olanda, Inghilterra e Prussia) che negli anni seguenti si creò una rete di
comunicazione di ben cinquemila Km.

Il sistema è basato su torri, poste a distanza
di cannocchiale, che portano bracci mobili capaci di assumere
posizioni geometriche diverse per rappresentare lettere e, quindi,
parole e frasi. Il telegrafo oltrepasso le Alpi e fu installato
anche in Italia, per collegare Torino, Genova e Piacenza, agli inizi
del 1800. E’ facile immaginare i limiti di questo sistema. Bastava
un po’ di nebbia, una giornata piovosa o ventosa, nonché gli
equivoci nella trasmissione delle lettere, per impedire la
trasmissione e la ricezione dei segnali.
Fino ad ora ci siamo soffermati sulle capacità
dell’uomo, ma non abbiamo preso in considerazione gli animali. Conoscete la
storia di tal Noè, che salvò gli esseri viventi da un terribile diluvio
universale, costruendosi un’Arca e caricandoci ogni sorta di essere vivente
per preservarli dall’estinzione? Si, proprio quel Noè: inviò i piccioni come
esploratori per vedere se il diluvio era regredito e, solo al terzo
tentativo, si vide tornare un piccione con il ramoscello di ulivo in bocca.
E’ nota da più di 5000 anni la straordinaria capacità di orientamento dei
piccioni: sono in grado di percorrere 1000 Km in un giorno e, se portato in
un qualsiasi luogo, riesce a ritrovare la strada grazie ad una vera e
propria bussola interna; va da sé che gli uccelli vadano ammaestrati allo
scopo. Durante il regno dei Sumeri, degli Egiziani e dei Greci, venivano
utilizzati i piccioni come messaggeri, in genere da oracoli a oracoli, che
erano dei veri e propri snodi dell’informazione, magari viaggiavano su due o
più staffette. In epoca medioevale l’utilizzo di questi messaggeri era
consentito solo agli aristocratici, visti gli alti costi dell’addestramento
e l’aumentato analfabetismo dovuto alla caduta dell’Impero Romano. In
parecchie guerre l’uso dei piccioni viaggiatori fu l’unico metodo di
comunicazione delle città sotto assedio.L’uso dei piccioni viaggiatori, avvicinandosi ai nostri
secoli, è strettamente legato alla storia del giornalismo ed alle
vicissitudini delle guerre mondiali. Si dice che Jiulius Reuter, quando
fondò l’agenzia di stampa Reuters, usasse i piccioni viaggiatori come
messaggeri postali fra le varie sedi delle sue agenzie. Nei primi decenni
del XX secolo, i piccioni ebbero un ruolo fondamentale nel fornire ai
giornali le notizie in tempo utile, prima della chiusura dei quotidiani,
nonostante si facesse avanti la telegrafia e la telegrafia senza fili. Anche
i banchieri Rothschild avevano una flotta di piccioni viaggiatori che
utilizzavano per svolgere i loro affari e che prestarono alle truppe inglesi
durante la guerra con la Francia, in particolare una volta in cui permisero
di avvertire immediatamente Londra della tragica battaglia di Waterloo.
Durante la seconda guerra mondiale, dove la radio, il
telegrafo, la telefonia cedevano il passo alle bombe, alle mitragliatrici ed
agli aeroplani, solo i piccioni viaggiatori riuscivano nell’intento di
stabilire le comunicazioni con le truppe assediate. I piccioni erano anche
utilizzati come aerei da ricognizioni fotografiche sul territorio: gli
veniva attaccata una piccola macchina fotografica che scattata foto in
automatico mentre il piccione sorvolava la zona da controllare. Molti
piccioni hanno avuto una medaglia d’oro assegnata ed hanno addirittura un
cimitero tutto per loro.

Tornando alla nostra storia, la svolta decisiva per le telecomunicazioni senza filo, arrivò con la scoperta dell’elettricità e del suo uso, in particolare con la creazione della telegrafia e la telefonia elettrica. Fu subito chiaro che, fra tutte le forme di energia e di comunicazione finora utilizzate, quella elettrica era la più facile ed economica da implementare. Ci furono grandi sforzi per migliorare i sistemi di trasporto fisici, per ridurre il numero dei fili utilizzati per la trasmissioni (si partì con un filo per lettera, 27, più il filo di ritorno del segnale) e per migliorare la costruzione dei cavi stessi: si riuscirono a creare combinazioni di segnali per cui si scese ad un solo filo per trasmissione, calcolando che per il ritorno del segnale si pensò di utilizzare il terreno, mediante la cosiddetta presa di terra, che costituisce un unico, grande conduttore. Tutto ciò richiese lo sforzo di parecchi studiosi, scienziati, dilettanti per decine di anni. Fino all’arrivo di Guglielmo Marconi e della radio-telegrafia e radio-fonia.
Le comunicazioni radio si basano sull’uso delle onde
elettromagnetiche, che hanno la proprietà di viaggiare nello spazio anche ad
enormi distanze e senza essere impedite da qualsiasi ostacolo. La scoperta
di tali onde, la formulazione della relativa teoria, gli esperimenti per
dimostrare la loro esistenza, non sono venuti all’improvviso, ma si è si è
trattato di un processo graduale, fatto di osservazioni fortuite, di
esperimenti fatti magari per tutt’altro scopo, di tentativi dilettanteschi
ma anche di studi di seri scienziati. Si può pensare alla scoperta della
radio come ad una invenzione collettiva distribuita nell’arco di un paio di
secoli. L’invenzione della radio la possiamo paragonare allo svolgimento di
un romanzo poliziesco, la cui soluzione scaturisce alla fine da un insieme
di tanti tasselli messi pazientemente insieme dagli investigatori: da qui il
fascino della scoperta che ha rivoluzionato la comunicazione del pensiero e
la vita stessa del genere umano.
Gli effetti del magnetismo sono noti fin
dall’antichità: i greci erano a conoscenza dell’attrazione esercitata da una
bacchetta di ambra (in greco
electron
da cui derivò il termine
elettricità)
su palline di sambuco, se la si sfregava su di una pelle. Era stato inoltre
notato il potere di attrazione sul ferro di un minerale che si trovava in
discrete quantità nelle miniere vicino a Magnesia, in Asia minore; quel
materiale viene tutt’oggi chiamato magnetite. L’applicazione pratica più
famosa dei magneti naturali è costituita dalla bussola (già conosciuta dai
cinesi e apparsa nel vecchio continente nell’alto medioevo).
Quando si cerca di spiegare semplicemente la diffusione
delle onde elettromagnetiche nello spazio, si fa l’esempio dello stagno nel
quale viene gettato un sasso: tutti sappiamo che si formano delle onde
concentriche che si allontanano apparentemente dal punto centrale in cui è
caduto il sasso. Fu Leonardo Da Vinci, nel XVI secolo, tra le tante pillole
di scienza che ci lasciò, ad enunciare le leggi che regolavano la
propagazione di queste onde, avendo l’intuizione che non si aveva trasporto
di materia nelle onde, ma solo una oscillazione di massa liquida verso
l’alto e verso il basso, senza alcun spostamento trasversale. Questa
spiegazione è alla base della teoria di propagazione delle onde
elettromagnetiche. Va da se che lo sviluppo della telegrafia senza fili è
strettamente legato all’elettricità ed alla tecnologia sviluppata per
crearla e mantenerla, passando per le credenze stregonesche, che sempre
hanno accompagnato la mancanza di spiegazioni scientifiche di fatti che
accadevano incomprensibilmente.
Le prime macchine elettrostatiche apparvero dopo la
seconda metà del XVII secolo: queste apparecchiature sfruttavano il
principio di elettrificazione per strofinio di una sostanza isolante. In
genere si trattava di un disco di vetro, posto in rotazione per mezzo di una
manovella, veniva strofinato da tamponi di lana e la carica elettrica, sotto
forma di accumulo di elettroni, veniva raccolto da pettini di metallo
affacciati al disco stesso. Erano strumenti capaci di generare notevoli
potenziali elettrici ma con intensità di corrente molto bassa ma, come si
può intuire, c’erano seri problemi nel mantenere costante il movimento di
rotazione della macchina stessa. Una di queste macchine, la più famosa nelle
trattazioni storiche, è la macchina elettrostatica a strofinio di Wimshurst
del 1883. Tale macchina viene ad oggi riprodotta da appassionati di
strumentazione fisica ed elettrica, per dimostrare la generazione di
elettricità.

Bisognerà attendere l’italiano e comasco Alessandro
Volta che nel 1799 mise a disposizione della comunità scientifica una
sorgente di elettricità senza parti in movimento, in grado di fornire
tensioni relativamente modeste ma con correnti molto elevate e per lunghi
periodi. Sposando le idee di Benjamin Franklin, studioso dei fulmini ed
inventore del parafulmine, che sosteneva che la materia elettrica è
costituita da un unico “fluido” (contro i più importanti fisici che
ipotizzavano la presenza di due fluidi, uno positivo ed uno negativo),
realizzò il generatore di corrente passato alla storia con il nome di
pila, derivato dagli studi sugli
incredibili e miracolosi esperimenti di Galvani sulle rane. Volta scoprì che
una particolare combinazione di due metalli, riusciva a stimolare ed
eccitare i nervi delle sventurate bestiole. L’elemento base della pila di
Volta è costituito da dischi di rame e zinco alternati separati tra di loro
da un panno imbevuto di acqua salata. Si riusciva ad ottenere tensioni
maggiori semplicemente aggiungendo i due metalli in colonna o pila, da cui
il nome del dispositivo. Con la pila, dopo la presentazione e la
consacrazione alla Royal Society di Londra, lo stesso inventore praticò
esperimenti sugli effetti dell’energia elettrica sul corpo umano, applicando
elettrodi alla bocca, alle orecchie, al naso, prove su nervi e muscoli che
divennero un divertimento alla moda per quel tempo. La pila è tutt’ora un
elemento sull’onda del successo, essendo ad essa assegnato il compito di
accelerare lo sviluppo tecnologico di tutta l’elettronica moderna,
associando ricerche in campo biochimico ed elettronico, nell’intento di
avere pile sempre più piccole, potenti e durature nell’erogazione temporale
della corrente.
Come abbiamo detto, un’altra pietra miliare nella
storia dell’elettricità e della radio, è dovuta al bolognese Luigi Galvani
intorno al 1780. In uno dei suoi esperimenti, una rana scorticata giaceva
sul tavolo mentre nel laboratorio era in funzione una macchina
elettrostatica: mentre lavorava con un bisturi sui nervi dell’animale, si
accorse che questi si contraevano in concomitanza con le scintille.
Solleticato dalla curiosa esperienza e per approfondire le cause del
fenomeno, provò a variare le condizioni sperimentali collegando ai nervi
della rana un filo metallico isolato da filo di seta; messa di nuovo in
funzione la macchina elettrostatica, si accorse che i nervi si contraevano
ad ogni scoccar di scintilla, indipendentemente da dove fosse posizionata la
macchina elettrostatica. Al di là delle teorie scientifiche che ne
scaturirono, la disposizione sperimentale di Galvani corrisponde in modo
strabiliante ad un complesso radiotelegrafico rice-trasmittente nei suoi
elementi essenziali, è facile riconoscerla: la macchina elettrostatica è il
trasmettitore, i nervi della rana il ricevitore, il filo ad essi collegato,
l’antenna. Galvani notò che lo stesso effetto avevano le scariche
temporalesche, come scoprirono oltre un secolo dopo i primi sperimentatori e
lo stesso Marconi; i fulmini disturbavano notevolmente la ricezione in
quanto essi stessi erano una trasmissione, in questo caso di Madre Natura.

Dobbiamo a questo punto fare di nuovo ricorso ad un
paragone meccanico per spiegare in funzionamento dell’onda elettrica che
cambia periodicamente segno ed introdurre dei nuovi componenti elettrici che
permettono di avere un simile comportamento.
Dobbiamo a questo punto fare di nuovo ricorso ad un
paragone meccanico per spiegare in funzionamento dell’onda elettrica che
cambia periodicamente segno ed introdurre dei nuovi componenti elettrici che
permettono di avere un simile comportamento.
Immaginiamo di avere un sistema molla-peso, cioè una
molla appesa al soffitto alla quale è attaccata, all’altra estremità, un
peso: dando una spinta iniziale verso il basso al peso, questo farà si che
la molla inizi ad oscillare con un movimento dall’alto verso il basso, per
un certo periodo di tempo. Il peso rappresenta un accumulo di energia,
mentre la molla si oppone allo spostamento del peso, salvo poi restituire
l’energia, comportamento che spiega le oscillazioni.
Gli analoghi elettrici della molla e del peso, sono
l’induttanza ed il condensatore, senza i quali non è possibile avere
oscillazioni di corrente: nell’indagine dell’ispettore, si è dovuto
attendere che entrassero nella scena del crimine gli scienziati che
inventassero i condensatori e le induttanze e che ne spiegassero il
funzionamento.
Il primo ad essere realizzato fu il condensatore, nato
nel tentativo di accumulare la scarsa quantità di corrente erogata dalle
macchine elettrostatiche. Considerando l’energia elettrica come un fluido,
si penso di “imbottigliarlo” come se fosse acqua. L’idea venne
contemporaneamente ad un fisico tedesco e ad un monaco olandese nel 1745 e
prese il nome di “
bottiglia di Leyda”,
dal nome dell’università di uno degli scopritori, e tale nome fu utilizzato
fino ai primordi della radio.
Il prototipo fu realizzato utilizzando proprio una
bottiglia di vetro; per realizzare gli elettrodi di collegamento si avvolse
una sottile lamina metallica all’esterno e posti all’interno dei ritagli
appallottolati della stessa lamina: si accorsero come le cariche elettriche
non riempissero la bottiglia come se fosse stata acqua, ma si distribuiva
sulle due superfici affacciate delle lamine metalliche, ottenendo comunque
l’effetto di accumulo delle cariche ricercato.
Il funzionamento del condensatore si basa sul principio
che le cariche elettriche di segno contrario si attirano e si fanno
equilibrio; quindi, ponendo la pallina dell'asticciola (che è collegata alla
lamina metallica interna) a contatto con una macchina elettrostatica e
tenendo in mano la bottiglia (in modo che l'armatura esterna sia a terra),
l'armatura interna si carica di elettricità di un segno e quella esterna di
segno contrario, che si fanno reciprocamente equilibrio. Se ora, per mezzo
di un arco scaricatore, mettiamo a contatto le due armature, si ha una
scarica elettrica, la cui intensità dipende dalla superficie delle armature
e dall'isolante interposto.

La storia dell’induttanza è più complicata, ha più
attori e si svolge nell’arco di 30 anni a partire dal 1802, ed è legata alla
scoperta della fondamentale relazione tra magnetismo ed elettricità.
L’italiano Romagnosi aveva notato che un filo percorso da corrente e
passante in prossimità di una bussola, ne faceva deviare l’ago dalla
posizione normale; in pratica, l’effetto della corrente agiva come un
magnete, con il vantaggio di riuscire a comandare a piacere l’effetto di
attrazione. Purtroppo l’italiano non pubblicò mai la sua scoperta ed il
mondo scientifico dovette attendere quasi venti anni per arrivare allo
studioso danese Oersted, che pubblicò le medesime esperienze del Romagnosi
aggiungendo il verso della deviazione dell’ago della bussola ed il fatto che
l’ago si ponesse sempre in maniera perpendicolare attraverso il filo. Sempre
nel 1820, lo studioso André Marie Ampere, pubblicò una teoria secondo la
quale il magnetismo è elettricità in movimento. Nel 1931, Lo studioso
inglese Michael Faraday, fece luce sull’argomento e dimostrò lo stretto
legame tra il magnetismo e l’elettricità, teoria dalla quale nacque quasi
immediatamente la dinamo.
Faraday era figlio di un fabbro e iniziò come
rilegatore di libri e, rilegando una copia dell’Enciclopedia Britannica, si
imbatté nella voce elettricità e da lì partì la sua passione che, dopo venti
anni di lavori e studi, lo portò a scoprire ed enunciare l’induzione
elettromagnetica. Il suo esperimento consisteva in un anello di ferro, sul
quale aveva avvolto delle spire di rame collegate ad una batteria; un’altra
spira, avvolta separatamente, era invece collegata ad un galvanometro (uno
strumento di misura ad indice per misurare la corrente elettrica). Ed ecco
la stupefacente scoperta: inviando una corrente nel circuito a batteria, il
galvanometro si muoveva, pur essendo i due circuiti perfettamente isolati
uno dall’altro.. Continuando i suoi esperimenti, scoprì che un galvanometro
collegato ad un avvolgimento di parecchie spire si muoveva se una calamita
veniva introdotta ed estratta dall’avvolgimento stesso. Faraday aveva
dimostrato l’inverso dell’effetto scoperto da Oersted.

Da qui all’invenzione della dinamo il passo fu breve:
restava dimostrato che una forza meccanica poteva essere convertita in una
forza elettrica (e viceversa).
In seguito alla scoperta di Faraday, altri studiosi
svilupparono altri dispositivi, pervenendo spesso a risultati
analoghi se non identici all’insaputa l’uno dell’altro.
Il più famoso lo dobbiamo a Ruhmkorff, meccanico elettrotecnico tedesco, che
realizzò l’antenato del trasformatore, che venne utilizzato nei primi
esperimenti di Hertz e Marconi per generare le onde radio.Ruhmkorff pensò di indurre correnti indotte in un
rocchetto di grandi dimensioni, dotato di due avvolgimenti isolati tra di
loro, uno di poche spire (primario) e l’altro di moltissime spire
(secondario). Interrompendo la corrente elettrica fornita dalle pile tramite
un meccanismo meccanico (ancora oggi usato nei campanelli elettrici), si
aveva ai capi del secondario una tensione di moltissime volte superiore alla
tensione originale della pila, anche di decine di migliaia di volt.
Come avrete notato, finora tutte le scoperte sono
sperimentali, fortuite e senza una spiegazione rigorosa ad enunciarli. A
metter fine al ciclo che porterà alla nascita della telegrafia senza fili ci
penserà lo studioso James Clerk Maxwell, figlio di un modesto avvocato
scozzese, che nel 1873 pubblicò una trattazione matematica ineccepibile,
valida ancora oggi, che enuncia le famose equazioni del campo
elettromagnetico ed i concetti fondamentali della teoria elettromagnetica
della luce. La grandezza di Maxwell sta nell’aver elaborato una teoria che
trattava una materia invisibile (il campo elettromagnetico), per di più mai
dimostrata sperimentalmente. Un suo altro grande merito è quello, per la
prima volta, di aver accomunato per primo, luce, calore ed elettricità come
manifestazioni di una stessa entità fisica, in pratica sono tutte
manifestazioni di vibrazioni a diversa frequenza del campo elettromagnetico.
Il successivo tassello nella storia della radio, può
essere quindi aggiunto: una volta osservati gli effetti del campo
elettromagnetico ed averne enunciate le leggi che lo governano in rigorosi
termini matematici, non resta che verificare sperimentalmente le equazioni
di Maxwell inviando onde nello spazio e ricevendole in qualche modo,
soprattutto verificando sperimentalmente i risultati ottenuti, lavoro dovuto
a Rudolf Heinrich Hertz e completato nel 1988. Le sue fondamentali
esperienze portarono alla dimostrazione pratica delle esistenza delle onde
elettromagnetiche, denominate in seguito “onde hertziane” in suo onore.
Hertz si propose di dimostrare tre cose: la possibilità
di generare campi elettromagnetici mediante la variazione della corrente
elettrica, che questi campi si potevano propagare nello spazio e che la
velocità di propagazione era la stessa della luce.

Il rocchetto di Ruhmkorff, collegato alle estremità affacciate del dipolo,
caricava ad ogni apertura del primario le due sfere, così nel breve spazio
vuoto del dipolo scoccava una scintilla. La scarica oscillatoria, creava
un’onda elettromagnetica viaggiante con la velocità della luce.
Il rocchetto di Ruhmkorff, collegato alle estremità affacciate del dipolo,
caricava ad ogni apertura del primario le due sfere, così nel breve spazio
vuoto del dipolo scoccava una scintilla. La scarica oscillatoria, creava
un’onda elettromagnetica viaggiante con la velocità della luce.
Naturalmente, per dimostrare che la radiazione veniva
realmente prodotta occorreva rivelarla. A questo scopo Hertz utilizzò una
spira costituita da un cerchio di grosso filo di rame interrotto da uno spazio di lunghezza regolabile tra
due sferette. Il funzionamento di questo semplice rivelatore si basava sul
fatto che la tensione indotta dall’onda elettromagnetica attraverso la spira
si manifestava attraverso la scintillina che illuminava le due sferette. La
scintilla era talmente debole che doveva essere rivelata al buio con l’aiuto
di una lente di ingrandimento. L’esperimento fu coronato da successo,
ed anzi Hertz fu in grado di verificare, mediante differenti disposizioni
sperimentali, vari fenomeni connessi alla propagazione delle onde, come la
loro polarizzazione e riflessione. La difficoltà negli esperimenti, guidati
più dalle conoscenze di ottica che altro, stava nella quasi assoluta
mancanza di formule per calcolare i valori di capacità ed induttanza e nelle
attrezzature adatte per altre scienze.
L’attività e la divulgazione degli esperimenti di Hertz
ebbero vasta risonanza sui giornali e sulle riviste di tutto il mondo e fu
proprio leggendo una di quelle riviste che il giovane Guglielmo Marconi fu
affascinato dall’argomento ed ebbe in seguito la geniale intuizione di
utilizzare le onde elettromagnetiche per comunicare a distanza senza l’uso
dei fili.
Tutti i tasselli iniziavano ad incastrarsi
perfettamente, piano piano, grazie al contributo di singoli o di più
persone. Ora che si erano scoperte le onde elettromagnetiche, bisognava
costruire un semplice rivelatore di onde, di certo non si poteva pensare di
andare in giro con rane senza pelle o anelli di metallo come rabdomanti.
Venne in aiuto lo studio di polvere conduttive di
corrente, avviato per essere utilizzato nelle macchine telegrafiche
automatiche. Molti studiosi avevano iniziato a notare come certi elementi,
ridotti in granuli molto fini, diventavano conduttivi se percorsi da
corrente e rimanevano compattati fino a che un intervento esterno, come un
urto, non riportava la sostanza in formato libero e granuloso. Anche in
questo caso ci pensò un italiano a trovare la soluzione adeguata. Il fisico
Temistocle Calzecchi-Onesti adottò il seguente apparecchio: in un tubetto di
vetro, provviste alle due estremità di due contatti metallici regolabili,
veniva posta la limatura da esaminare; il tubetto faceva parte di un
circuito formato da una pila e da un galvanometro. Chiudendo ed
interrompendo il circuito, la resistenza del tubetto diminuiva
progressivamente, facendo deviare maggiorante lo strumento indicatore.
Era il 1885. Gli inglesi Lodge e Branly, migliorarono lo strumento
del Calzecchi-Onesti e cercarono di assegnarsi la paternità dell’invenzione.
Lo strumento prese comunque il nome che gli diede Lodge, che lo chiamò
“coherer”, cioè coesore, riferito allo stato elettrico delle particelle a
seguito della scarica elettrica. Anche un russo di nome Popov si cimentò
nelle sperimentazioni tra Hertz e coherer, utilizzando il coherer al posto
dell’archetto rivelatore di Hertz. Secondo i russi è Popov l’inventore della
radio, ed effettivamente lui e Marconi erano contemporanei, solo che Popov
riuscì a trasmettere per distanze molto piccole, superate ampiamente dai
primi esperimenti Marconiani e pubblicò le sue sperimentazioni solo in
ambito russo senza avere risonanza internazionale. A lui viene comunque
addebitata la tecnica di riportare la limatura allo stato di elevata
resistenza iniziale tramite l’urto di un batacchio di un campanello
elettrico. Un altro importante elemento viene portato da Lodge attraverso lo
studio dei fulmini e del loro comportamento. Il Lodge si accorse,
sperimentalmente ed attraverso l’osservazione naturale e dei parafulmini
utilizzati per proteggere le stazioni telegrafiche, che la scarica elettrica
non seguiva il percorso più facile da seguire, il parafulmine, ma sceglieva
percorsi anche tortuosi per poi scaricarsi a terra. Riuscì a costruirsi un
generatore di fulmini portatile da stare in laboratorio e scoprì che ogni
materiale opponeva una resistenza ad essere attraversato da correnti ad alta
frequenza (la reattanza induttiva nel caso dei parafulmini). Attraverso i
suoi esperimenti riuscì a determinare che esisteva un particolare
accoppiamento di valori di induttanza e capacità per cui il trasferimento di
energia del parafulmine del laboratorio era massimo: Lodge aveva a sua
insaputa scoperto il valore di risonanza del circuito formato da una
capacità ed una induttanza. Hertz e Lodge stavano sperimentando in
contemporanea le loro teorie e, nonostante cercassero di inviare onde nello
spazio, nessuno dei due aveva la minima intenzione di inviare nello spazio
segnali “intelligenti”, e questo è molto importante per collocare
correttamente “l’invenzione della radio”.
MA LA RADIO QUANDO
ARRIVA??!!

Nel 1894, un giovane di vent’anni, che non ha compiuto
studi regolari, figlio di un possidente terriero delle colline bolognesi e
di una aspirante cantante lirica irlandese, concepisce un’idea ardita quanto
originale: utilizzare le onde elettromagnetiche per inviare segnali a
distanza senza l’ausilio di fili, fino ad allora necessari. In effetti, come
esposto nel racconto precedente, tutti gli ingredienti tecnici sono
disponibili: teoria, strumenti e dimostrazioni pratiche dell’emissione e
della ricezione di queste onde misteriose, pur se ancora allo stato di
curiosità di laboratorio anche per gli stessi scienziati che vi hanno
lavorato. Quel ragazzo è però convinto che la sua idea sia giusta e
realizzabile, e dedicherà tutta la sua vita per portarla ad un livello di
utilità pratica e di sfruttamento commerciale.

Nella grande casa di campagna, villa Griffone, il
giovane Guglielmo ha attrezzato la soffitta a laboratorio e cerca di
riprodurre le esperienze effettuate dagli studiosi in materia di ricezione e
trasmissione delle onde elettromagnetiche. Con grande disappunto del padre,
questo figlio senza arte né parte, invece di interessarsi all’azienda
agricola di famiglia, acquista materiali e strani apparecchi e passa tutto
il suo tempo in soffitta a realizzare i suoi misteriosi esperimenti. Per sua
fortuna, la madre ha un’illimitata fiducia in questo figlio tanto diverso
dagli altri ragazzi della sua età, e lo sprona a dedicarsi agli amati
rocchetti di Ruhmkorff ed alle altre sue diavolerie, malgrado i rimbotti del
padre.
I risultati all’inizio sono modesti: Guglielmo riesce a
far suonare un campanello, senza alcun collegamento, alla distanza di pochi
metri nella soffitta-laboratorio. Quindi ripete la stessa impresa, ma tra la
soffitta ed il pianterreno della vasta casa. A questo punto, anche il severo
padre intuisce che quel figlio sta forse combinando qualcosa di eccezionale,
tanto che gli elargisce un’insperata somma di denaro con cui acquisterà il
materiale indispensabile al proseguimento dei suoi esperimenti.
Come trasmettitore viene usato un rocchetto di
Ruhmkorff, collegato ad uno spinterometro, in pratica due sferette
metalliche affacciate a qualche cm di distanza. Un pezzo di lamiera,
ricavata da una latta di petrolio, funge da antenna, un’altra lamiera
interrata costituisce il ritorno di terra. Entrambe sono state aggiunte ed
ideate dallo stesso Marconi, che riesce in tal modo ad aumentare la distanza
di trasmissione a parità di potenza. Come ricevitore viene utilizzato il
coherer, il tubetto a limatura metallica, unico rivelatore conosciuto
all’epoca e collegato ad un campanello privo di campana e ad una pila.
Normalmente la limatura non conduce, ma un breve impulso ricevuto fa aderire le particelle metalliche e permette il
passaggio di corrente, il batacchio dà un colpetto al vetro, ripristinandone
lo stato non conduttivo e disponendolo alla ricezione di una nuovo impulso.
Anche qui un’antenna ed un collegamento a terra completano l’apparecchio.
Anche il coherer fu sottoposto a tanti esperimenti costruttivi fino ad
arrivare a quello più efficiente, sia come coherer stesso che come sistema
congiunto al martelletto.
Il passo successivo per sviluppare la sua
apparecchiatura è quello di aumentare a tutti i costi la distanza e,
soprattutto, inviare segnali tra due punti che abbiano un ostacolo fra di
loro. La collina di fronte a villa Griffone è proprio il test da superare:
manda oltre la collina i suoi aiutanti con la cassetta del ricevitore ed un
fucile, che servirà a segnalare l’eventuale avvenuta ricezione. Marconi,
trepidante, preme il tasto di trasmissione tre volte, e ascolta lo sparo del
fucile che echeggia nella campagna attorno.
E’ l’agosto del 1985 ed iniziava una nuova era per
l’umanità.
Si tentò subito di proporre l’invenzione al ministero
italiano delle Poste e Telegrafi ma, come accade tutt’ora, come fosse un
comportamento scritto nel DNA dell’italica nazione, ricevette un gentile
diniego ed il consiglio di proporre l’invenzione ad altri. Qui entrarono in
gioco le parentele della madre, che spedì il figlio in Inghilterra a
proporre la sua invenzione alle Poste e Telegrafi inglesi che, al contrario
del suolo natio, lo accolsero a braccia aperte, finanziandolo e aiutandolo
nei suoi esperimenti, capendo subito l’utilità della rivoluzionaria
apparecchiatura che il giovane italiano aveva proposto.
Nel 1897, dopo aver perfezionato la sua invenzione,
riceve il brevetto richiesto per il sistema di telegrafia senza fili e,
dimostrando di possedere una notevole capacità imprenditoriale, crea una
società di cui era il principale azionista. Marconi mise da subito a
disposizione la sua invenzione, soprattutto alle marine degli stati europei
e americani: la possibilità di inviare messaggi da e alle navi, migliorò la
circolazione delle informazioni e, soprattutto, la sicurezza in mare (famoso
l’affondamento del Titanic e la scomparsa del dirigibile Italia), non
dimenticando di pubblicizzare la sua invenzione. Un altro canale che poteva
sfruttare la sua scoperta era quello giornalistico e finanziario: a questo
scopo realizza la prima radiocronaca della storia, trasmettendo i risultati
di una regata velica inglese, pubblicati con largo anticipo rispetto alle
concorrenti, ad un giornale inglese. Una volta riconosciuta l’indiscutibile
utilità della telegrafia senza fili nel salvataggio delle vite umane, si
moltiplicarono le stazioni costiere e le installazioni telegrafiche a bordo
delle navi.
Il pallino fisso di Marconi è però trasmettere le onde
elettromagnetiche oltre oceano, obiettivo su cui lavorerà febbrilmente,
anche nell’ottica che qualcun altro potesse rubargli l’idea e la
realizzazione. Lui comunque, lo ripeterà per tutta la vita, lavorò su
un’idea che era così ovvia, che non capì mai come nessuno ci avesse mai
pensato, specialmente da coloro che avevano enormi mezzi a disposizione e
laboratori infinitamente più attrezzati.
Marconi osservò anche un altro problema: i segnali
trasmessi erano a larga banda, cioè avvenivano in un ampio spettro delle onde elettromagnetiche e non era
possibile distinguere due stazioni che trasmettevano da uguale distanza ed
uguale potenza; poteva quindi capitare che se venisse lanciato un SOS da una
nave molto lontana, era probabile che colasse a picco se vicino alla
stazione ricevente stava trasmettendo un’altra stazione, magari raccontando
che tipo di cappello stesse indossando la duchessa tal dei tali. C’era anche
un problema di segretezza: le trasmissioni erano ricevibili da tutti, per
cui gli stati e le relative forze armate, non potevano trasmettere messaggi
segreti facilmente.
Queste osservazioni ed i relativi sforzi scientifici
per implementare le sue teorie, portarono al famoso brevetto 7777 sul
circuito sintonico, nell’anno 1900.
Come aveva osservato il Lodge, una opportuna
combinazione di induttanza e capacità permetteva di avere il massimo
passaggio di energia solo in una piccola frazione di frequenze: Marconi
studio un modo in qui l’antenna trasmittente riesce ad emettere onde
elettromagnetiche solo ad una certa lunghezza d’onda (e lo stesso sistema lo
implementerà nel ricevitore), eliminando così le interferenze tra stazioni
trasmittenti. Da notare che ancora non si conosce il concetto di lunghezza
d’onda e non si conoscono neanche i comportamenti delle onde
elettromagnetiche rispetto ai vari strati dell’atmosfera e del sole.
Tutto è, all’inizio, in balia delle interferenze
climatiche, delle difficili situazioni trasmissive, tra scariche elettriche
che facevano drizzare i capelli e rischiare la vita per folgorazione, della
difficile arte di costruire antenne che potessero alzarsi fino a 120m di
altezza dal suolo, la solitudine dei luoghi scelti per gli esperimenti, le
temperature basse durante l’anno e l’assoluta incertezza delle proprie
teorie.
Gli anni scorrono con sperimentazioni di trasmissione a
varie frequenze, nella creazione di detector che fossero più efficienti e
meno delicati, dello studio scientifico sulla propagazione delle onde
nell’atmosfera, di battaglie legali con le compagne dei cavi telefonici, con
l’acquisto di qualsiasi brevetto potesse essere utilizzato per migliorare i
suoi studi e le sue apparecchiature. Il progresso tecnologico progredì
notevolmente con la costruzione di componenti elettronici, quali
condensatori fissi e variabili, bobine, auricolari telefonici, detector vari
ed infine, le valvole, senza dimenticare i generatori di onde persistenti ed
i trasduttori acustici, questi ultimi due l’ultimo tassello per trasmettere
anche la voce umana nell’etere. Anche la teoria progredì notevolmente,
aiutata da abili fisici e matematici che tradussero gli effetti fisici in
formule capibili ed implementabili tecnologicamente.
Tutti questi progressi portarono la radio ad un alto
grado di efficienza soltanto col finire della prima guerra mondiale, quando
sorsero un gran numero di radioamatori, intesi proprio come amatori della
radio, che durante la guerra avevano preso contatto con il nuovo strumento e
ne continuavano ora con rinnovato entusiasmo lo studio.
La strada era ormai spianata a quello che è il mondo
attuale.
Si sono volutamente tralasciati la storia delle
apparecchiature, della tecnologia e degli aspetti commerciali, per
sottolineare invece lo sforzo, la tenacia, l’inventiva e lo spirito di
sacrificio dell’essere umano.
Se lo scopo è quello di conoscere e riempirsi la vista
di immagini di apparecchiature d’epoca, basta sfogliare libri ed siti
internet specifici presenti ovunque in rete.
In genere, gli aspetti umani delle scoperte
scientifiche, passano sempre in secondo piano, essendo sempre l’attenzione
presa alla scoperta stessa.
Bibliografia
Il Miracolo delle onde – Il romanzo della radio e della televisione – Edoardo Rhein – Ulrico Hoepli - 1937
La storia delle telecomunicazioni – Valery Ponti – Istituto Geografico De Agostini – 1967
Radio fra storia e collezione – Vol.1 – Luciano Marcellini – Antique Radio – 1999
Wikipedia – l’Enciclopedia libera – http://it.wikipedia.org/
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